Il renshi e la poesia contemporanea
Da dove cadesti?
Da dove cadesti?
Da dove cadesti?
Da dove cadesti?
Davvero cadesti?
Davvero, davvero cadesti?
Da dove cadesti?
Davvero cadesti
Dalla scogliera col boschetto
Di lamponi?
Così riporta una delle strofe finali, scritte da Itō Hiromi (Giappone, 1955), all’interno del Kumamoto renshi, opera composta nel marzo del 2010 da Tanikawa Shuntarō, Yotsumoto Yasuhiro, Kaku Wakoko, il poeta americano Jerome Rothenberg e Itō Hiromi.
Il Kumamoto renshi, scritto durante tre giorni di ritiro di questi poeti a Kumamoto (da qui il nome), fa parte del genere poetico del renshi, ovvero la poesia collaborativa a catena (o linked poetry).
Come spiega il traduttore e poeta americano che si è occupato della resa di quest’opera, Jeffrey Angles, tale forma deriva dal renga, genere molto diffuso
intorno al XV secolo in Giappone. I poeti, infatti, collaboravano nella sua stesura seguendo uno schema metrico di unità, simile a: 5-7 e 5-7-7. Alternandosi, sviluppavano temi concatenati, rifacendosi ai versi delle strofe precedenti per proseguire la poesia, direzionandola gradualmente verso nuove tematiche.
La nascita del renshi deriva, però, dall’iniziativa del poeta Octavio Paz, nel 1969, di comporre una poesia collaborativa sulla falsa riga del renga. Egli invitò a Parigi poeti quali Jacques Roubaud e Edoardo Sanguineti, per la stesura di una serie di frammenti poetici, che avrebbero poi formato una catena di sonetti. Quando tale opera fu tradotta in lingua giapponese, essa collaborò alla nascita definitiva del genere renshi.
Per quanto riguarda i versi e la poetica di Itō nel Kumamoto renshi, la poetessa effettua una scelta metapoetica e intertestuale, citando i versi di altri poeti ed inserendoli nelle sue strofe. Afferma, infatti, di voler cercare le voci di altri per esprimere la propria, e tale mossa è la prova di un ulteriore livello collaborativo all’interno di un genere quale il renshi.
La vasta creatività di Itō, tuttavia, non si limita a questo genere, ma sfocia in svariate opere poetiche e traduttive quali Oume (Prugne verdi 1982), Watashi wa Anjuhimeko de aru (Sono Anjyuhimeko, 1993), e traduzioni di storie buddiste e di romanzi del diciannovesimo secolo, in giapponese.
Come ha scritto Maria Teresa Orsi, Itō Hiromi «affrontava senza inibizioni il mondo della biologia femminile [...] con una disinvoltura che nasceva, oltre che dalla propria ispirazione poetica, anche dal solido sostegno offerto dalle teorie psicanaliste come Julia Krsiteva e Melanie Klein.»
In opere come Watashi wa Anjuhimeko de aru, invece, si ritrova l’interesse dell’autrice per il buddhismo e per i sekkyōbushi, sermoni salmodiati accompagnati da strumenti musicali. Quest’ultimo componimento è costituito da un lungo poema in prosa, ovvero un rimaneggiamento di una registrazione orale di una shamana, risalente al 1921.
Trattando il renshi, tuttavia, non si può non menzionare il nome di uno dei poeti che, più di tutti, incoraggiò lo sviluppo di questo genere in Giappone. Ōoka Makoto.
Ōoka Makoto (1931 - 2017) è stato un celeberrimo poeta e critico letterario del Giappone contemporaneo. Nato nel 1931, lo stesso anno di Tanikawa Shuntarō, Ōoka pubblica nel 1956 il suo primo poema, Kioku to genzai (Memoria e il presente), ottenendo un successo istantaneo.
La figura di Ōoka è particolarmente nota per il suo contributo nella nascita e nello sviluppo della poesia renshi. Come già menzionato, questo genere nasce con l’iniziativa di Octavio Paz di scrivere secondo il modello del renga.
Ōoka, l’hanno successivo, imiterà questa scelta insieme con gli altri membri della rivista Kai.
Stringendo, grazie a questi lavori, stretti rapporti con Tanikawa Shuntarō, forma con quest’ultimo un’intensa collaborazione dal punto di vista della critica letteraria. Un esempio di ciò sarà la stesura del saggio Gendaishi nyūmon (Introduzione alla poesia moderna) del 1985.
Orsi descrive così tale collaborazione:
il sodalizio [di Tanikawa] con l’altro maestro indiscusso della seconda metà del Novecento, Ōoka Makoto, si sarebbe inoltre tradotto, negli anni Settanta, nella pubblicazione di alcuni testi sulla poesia contemporanea, [...] manifesto poetico degli autori.
In conclusione, a titolo esemplificativo, si riporta qui una poesia di Ōoka Makoto, tratta dall’antologia Poeti giapponesi e tradotta da Alessandro Clementi degli Albizi, dal titolo Il canto della fiamma.
Il canto della fiamma
Chi mi tocca
solleva grida di terrore
ma io non lo so
se sono calda o fredda
perché non sono mai ferma nello stesso posto
e quello che era un attimo prima già non c’è più
per me bruciare è il continuo ripetersi dell’addio
combatto contro l’oscurità
ma è solo nell’oscurità
che potrò fare ritorno
ciò che di me teme l’essere umano
è che per una ragione che io stesso ignoro
adoro avvicinarmi agli alberi alla carta alla sua carne
sfiorarli col mio corpo accarezzarli inghiottirli per intero
e sono io stessa poi
a morire sulle loro ceneri
perché non tradisco il principio di non possedere
sono le grida sollevate da chi mi tocca
a rivelarmi
quanto l’amicizia che gli porto
sia il cuore del loro stupore.