Le lettere di Bashō. Bellezza della semplicità

di Ekuni Shigeru (poeta, 1934-1997)*

Traduzione di Irene Canuto



Da circa tre anni, dal momento che mi sono immerso nel mondo degli haiku, ogni giorno mi vengono spedite da ogni parte delle raccolte poetiche.

Tutte le volte che ricevo una lettera, scrivo subito una risposta. Non mi è difficile, è ormai diventata un’abitudine. Spesso passo un’intera mezza giornata a scrivere le risposte a mano sulle cartoline. Uso modelli già fatti e modifico il testo in base a quello che voglio esprimere. C’è chi dice che in una lettera è giusto scrivere quello che si pensa liberamente, senza convenzioni, ma io non la vedo così. Se scrivo liberamente, senza regole, cado in confusione. In verità, mi è difficile. Il modo più semplice per scrivere una lettera è utilizzare un modello di quelli proposti nelle “raccolte di esempi di lettere”. Questi modelli, consolidati nel tempo, sono vere perle di sapienza. Penso si possano considerare lo “scheletro” di una lettera.

Allo stesso tempo, neanche va bene imitare pedissequamente il modello. Ne uscirebbe una lettera troppo sbrigativa. Occorre apportare dei cambiamenti all’interno del modello, e ampliare il testo cercando di personalizzarlo.

Le lettere che scrivo sono fatte in questo modo. Mi è molto comodo. Basta usare un po’ la testa, applicarsi e ne escono ottimi risultati.

Il fatto è che, anch’io come tutti, nello scrivere ho la tendenza a voler dire questo e quest’altro, e finisco per scrivere troppo. Anche se so bene che il maggior pregio di una lettera è la concisione.

***

Non amo molto Matsuo Bashō. Ma mi piace il Bashō scrittore di lettere.

Sebbene non m’intenda troppo di calligrafia, ho l’impressione che i suoi scritti letterari, per quanto eleganti, non siano del tutto impeccabili. Le lettere, invece, le trovo perfette.

Ora, leggendo e rileggendo i suoi manoscritti, ho visto che Bashō era una penna instancabile, inviava spesso lettere da ogni località che toccava nei suoi viaggi. E questo naturalmente non ci sorprende, siccome a quel tempo ogni questione andava risolta attraverso le lettere.

In quell’enorme corpus di missive se ne possono trovare alcune che rivelano il carattere del poeta.

La prima è una lettera risalente all’ottavo giorno del secondo mese del sesto anno Genroku [1693], contenente la richiesta di un prestito.

A Suganuma Geki (Kyokusui)

Mi permetto di chiederti un favore. Ti avanzasse qualcosa dalle tue spese, ti sarei infinitamente grato se potessi prestarmi un ryō e mezzo. Certamente spero in una risposta di assenso.

Per quanto il fatto di chiedere soldi in prestito a un discepolo rappresentasse per lui una situazione penosa, il tono di Basho è elegante. Nonostante stia chiedendo dei soldi, non utilizza frasi servili, ma muove la sua richiesta con atteggiamento disinvolto e rilassato.

La seconda lettera è una lettera di testamento. Destinata al fratello Matsuo Hanzaemon, risale al decimo giorno del decimo mese del settimo anno Genroku [1694]:

Devo purtroppo pensare che presto ti lascerò. Ma ti auguro di invecchiare assistito da [tuo figlio] Mataemon e di concludere serenamente i tuoi giorni. Non ho altro da dire. Porta un saluto [ai miei discepoli], Ichibei, Jiemon, eIsen [Kubota] e gli altri. E specialmente a Jiemon e Hattori. So quanto saranno addolorate tua moglie e la nostra sorella più giovane.

Questa lettera, scritta a soli due giorni dalla morte, è solenne. Il senso è: “Presto morirò. Non mi rimane altro da dire”. Inoltre, quell’incipit(“presto ti lascerò”) è pieno di pathos.

Ciò che accomuna le due lettere è la concisione. Due temi spiacevoli come la morte o i soldi, sono trattati in modo fresco e conciso.

Come si dice spesso, “la lettera rappresenta la persona”. A differenza di un’opera letteraria, la lettera nella forma e nel contenuto esprime in modo stupefacente il carattere dell’individuo. Da questi due sembra emergere un’immagine in qualche modo stoica di Basho.

Il mio poeta preferito, anzi, quello che più mi interessa è Kubota Mantaro, ma questo poeta – cosa inimmaginabile per un uomo dalla corporatura così imponente – scriveva i caratteri minuscoli come pulci. I suoi haiku sono qualcosa di meraviglioso, ma appaiono microscopici e scritti con una pessima calligrafia. Ho sentito dire che Mantaro era incredibilmente timido. Forse – perché no – è proprio quella timidezza che emerge nella sua calligrafia.

* Articolo tratto dalla rivista di calligrafia “Sumie”, novembre/dicembre 1994