Il Romanticismo e l'Effimero


A cura di Matilde Mastrangelo
Editore: Go Book, Merate

La trilogia tedesca di Mori Ogai
(recensione di F. Maisto, Liceo Gioia, Piacenza)


Mori Ogai, pseudonimo dello scrittore giapponese Mori Rintaro (1862 – 1922), è considerato uno dei principali esponenti della corrente romantica nipponica, famoso soprattutto per aver tradotto per primo diverse opere europee, facendo così conoscere ai giapponesi scrittori come Goethe, Shakespeare, Poe, D’Annunzio, e per la Trilogia Tedesca, ispirata al suo soggiorno in Germania e composta da tre brevi racconti: Maihime ("La ballerina", 1890), Utakata no ki ("Ricordi di vite effimere", 1890) e Fumizukai ("Il messaggero", 1891).

Il più famoso dei tre racconti è il primo, La ballerina, considerato in Giappone una classicissima storia d’amore. Il protagonista è Ota Toyotaro, studente giapponese che riceve una borsa di studio per proseguire i suoi studi a Berlino, dove conoscerà una giovane ballerina di nome Elise, della quale si innamorerà. Prima del fatidico incontro, tuttavia, il suo animo e, di conseguenza, i suoi modi ed abitudini, cambieranno radicalmente, dall’accettazione passiva del proprio futuro prestabilito («Avevo tenuto fede alle ultime volontà di mio padre e avevo seguito i suggerimenti di mia madre; avevo studiato con impegno, felice di essere considerato un bambino prodigio, e poi, soddisfatto dell’incoraggiamento e dell’appoggio che avevo ottenuto dal mio superiore, avevo lavorato senza tregua; tuttavia non avevo compreso che ero un individuo passivo che agiva meccanicamente, senza conoscere se stesso») alla voglia di raggiungere un’indipendenza nell’opinione e nel pensiero («Mi rendevo conto che non mi stava più bene fare il politico dalla brillante carriera, che non si confaceva a me diventare un giurista esemplare nella conoscenza e nell’applicazione dei codici»), e ancora: «All’università lasciai le lezioni di giurisprudenza per rivolgere il mio interesse alla storia e alla letteratura e ciò mi permise finalmente di coltivare quello che più mi attirava»).

Eppure, questo cambiamento non sarà ben accetto al suo superiore, il quale «di certo non era felice che io avessi dei pensieri miei, diversi da quelli degli altri», e che alla prima occasione gli revocherà la borsa di studio. Da allora in avanti, Ota si renderà sempre più conto di quanto l’indipendenza da lui desiderata sia fonte di diversi problemi in termini di reputazione, ma anche di un disagio che, non appena gli si presenterà l’occasione di essere riammesso onorevolmente nei ranghi e di rimpatriare, lo porterà ad abbandonare Elise e il tipo di libertà per il quale aveva faticosamente lottato.

Ricordi di vite effimere si apre con Kose, giovane artista giapponese, appena arrivato a Monaco di Baviera per studiare arte presso l’Accademia di Belle Arti della città. Presentato a un gruppo di altri studenti dall’amico che l’aveva condotto con sé in Germania, Kose inizierà a raccontare il motivo della sua visita: un quadro incompiuto, ispirato ad un fugace incontro durante il suo primo soggiorno nella capitale della Baviera. Terminato il racconto si rivelerà l’inatteso legame tra Marie, l’unica donna seduta tra gli artisti, e la storia del forestiero.

Da quel momento tra i due giovani si instaurerà un formale rapporto artista-modella che con il tempo si trasformerà in qualcosa di sempre più intimo e incantevolmente irrazionale, un sentimento fatto di rievocazioni del passato, segreti condivisi, paure… L’improvvisa e prematura morte di lei lascerà nell’animo trasformato del protagonista un’angosciante sensazione di impermanenza e caducità («Oggi, non c’è che oggi. Cosa potrei farmene di ieri? Domani, dopodomani, sono parole prive di significato, del tutto vuote»).

Nell’ultimo racconto della trilogia, Il messaggero, il protagonista è il giovane ufficiale Kobayashi che, seduto al tavolo con altri ufficiali, racconta del periodo in cui, affiliato a uno dei corpi d’armata del luogo, dovette recarsi in Sassonia. Qui conobbe le benevolenze della famiglia del conte Bulow, padrone del castello di Doben, alla quale apparteneva anche la giovane nobildonna Ida, la maggiore delle sorelle, nonché la più fascinosamente virtuosa e misteriosamente riservata.

Ida vivrà per tutto il racconto un forte disagio legato a un desiderio fremente d’individualismo e libertà; desiderio che si manifesta nella volontà di scegliere da sé il proprio sposo e non accettarne uno imposto dalla famiglia. Una parente contessa le viene in aiuto raccomandandola affinché possa prestare servizio a Corte «…dove al pari della Chiesa Cattolica Romana si conosce l’etichetta, ma si ignorano le passioni». Tuttavia, per ottenere questo aiuto, Ida ha bisogno di Kobayashi, il quale, segretamente innamorato di lei, si presta a farle da messaggero, anche se in questo modo finirà per perderla («La sua figura si confuse tra loro, e mentre si allontanava sempre più, di lei rimase soltanto il vestito di gala azzurro che spuntava ogni tanto tra la folla»).

Il registro comune dei tre racconti si può classificare come medio, senza uso di termini tecnici o difficilmente comprensibili, eccezion fatta per alcune, rare, parole tedesche, giapponesi o latine (veilchen, gefallig, kiseru, nihil admirari). Ciononostante, si nota fin da subito l’interesse dell’autore nel rendere le trame fantasiose quanto più realistiche, inserendole in un contesto storico, sociale e culturale, reale e contemporaneo allo scrittore; contesto che spicca attraverso l’uso deliberato di nomi in lingua madre di strade e opere importanti, nonché nelle dettagliate descrizioni di panorami ed ambienti, usi e costumi, che facilitano l’immedesimazione del lettore in un visitatore forestiero dell’epoca.

Il genere sentimentale e drammatico di questa trilogia rende appieno l’idea del romanzo romantico, che tende a fare dei personaggi della storia semplici marionette, mosse da quelli che sono i veri protagonisti della storia, ovvero la continua ricerca di una piena realizzazione individuale e il desiderio di un’utopica armonia, sempre fragile e irraggiungibile. È allora, quando la pace e la libertà a lungo desiderate e dolorosamente raggiunte crollano, irrecuperabili, che subentra l’eterna melanconia e la consapevolezza di non poter tornare indietro o rimediare in alcun modo.

Nei primi due racconti, la protagonista/marionetta è vittima del caso o di qualcosa a cui non può sfuggire, né può impedire. Il protagonista maschile, invece, è il colpevole mai colpevolizzato, se non da se stesso, puntualmente destinato a essere consumato dal rimorso alla luce del verificarsi di circostanze irreversibili. Nell’ultimo, invece, il maschio non è per nulla colpevolizzabile; piuttosto potrebbe essere definito come un semplice spettatore, impotente dinanzi al destino e alle scelte della sua amata, che, a differenza delle figure femminili dei racconti precedenti, non lo amerà mai. Così, Il Romanticismo e l’Effimero raccoglie una serie di racconti dai toni contrastanti, ma dal comune finale malinconico; racconti percorsi da forti emozioni e quadri di una lontana quotidianità che a noi appare estranea e favolosa, romanticamente consapevoli della qualità effimera dell’esistenza.